“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro…”
Tratto dalla relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani, ottobre 1912
L’auspicio è che rendere pubbliche queste realtà storiche porti tanti di noi ad aprire gli occhi su cosa significhi emigrare, senza pensare sempre e solo egoisticamente a cosa significhi immigrare. Ecco, la storia ci racconta ciò che pensavano -e magari qualcuno ancora pensa- di noi italiani tanti americani che “subivano” la nostra immigrazione: siamone consapevoli e proviamo a guardare chi oggi entra in Italia con gli occhi di chi può dire “io ti capisco, anch’io ho vissuto questo tuo dramma”. E rendiamo più lieve la vita di chi arriva tra noi, ne trarremo benefici sociali, economici e culturali.