Nell’ambito dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia si sono tenuti a Oggiono e Lecco
due giornate di approfondimento sul nostro Risorgimento.
Fra i relatori anche il nostro concittadino Dott. Stefano Cereda che ha illustrato nel salone del Municipio di Oggiono la figura
di Luciano Manara, che a soli 24 anni con tre figli si è battuto da eroe per tenere alti i valori di libertà e di giustizia.
Di seguito pubblichiamo l’intervento integrale del dott. Cereda che ringraziamo per l’opportunità che offre a tutti noi
di conoscere meglio la vita e le gesta di Luciano Manara.
VITA
Giuseppe Baldassarre Luciano; è questo il nome di battesimo dell’eroico lombardo che nasce a Milano il 25 marzo del 1825, figura importante del Risorgimento Italiano, che viene ricordato oggi semplicemente con il nome di Luciano.
Luciano appartiene alla Milano bene dell’epoca, è un Lion, termine questo allora usato per indicare personaggi che oggi chiameremmo dandy; ragazzi un poco viziati dagli agi di una vita benestante.
La sua era un’agiata famiglia borghese che aveva fatto fortuna durante la dominazione francese.
Il padre Filippo era stimato avvocato in Milano e la famiglia aveva dei possedimenti nel comasco, a Barzanò (luogo dove si trova ora la tomba della famiglia Manara) e nella pianura lombarda, ad Antegnate (dove Luciano e Carmelita Fè convoleranno a nozze il 10 settembre del ’43); Sesto Ulteriano (sede della tomba provvisoria di Luciano prima che la salma venisse definitivamente traslata a Barzanò) e Romano Bergamasco.
Così descriveva Gaetano Capasso (Dandolo,Morosini, Manara e il primo battaglione dei bersaglieri lombardi nel 1848-1849) la figura di Luciano Manara: “Nulla si conosce dei suoi primi anni, tranne che era pieno di giovanile baldanza, ardito, intraprendente, amante delle avventure e molto propenso agli esercizi ginnastici, senza alcuna manifestazione di spirito militare. Nel 1840 frequentava il I corso liceale nel liceo di via S.Spirito”.
Manara fu scolaro di Cristoforo Negri, il Negri divenne in seguito amico e confidente di Luciano.
Luciano non divenne ufficiale ma acquisì una buona cultura militare seguendo delle lezioni della scuola di marina a Venezia.
Viaggiò in Francia e Germania avendo la possibilità di apprendere la lingua e la vita politica di questi paesi; ebbe anche l’occasione di visitare Roma durante gli ultimi anni di pontificato di Gregorio XVI, qui conobbe il Torelli che diverrà nel ’48 uno degli artefici dell’insurrezione milanese.
Luciano Manara irrompe nella vita milanese con il suo improvviso matrimonio, con un colpo di mano, nonostante le famiglie avessero ormai accettato il fidanzamento, “rapisce” la sua amata Carmelita e la sposa ad Antegnate.
Il padre di Luciano per quietare lo “scandalo” concesse un anno sabbatico agli sposi, questi si recheranno a Venezia dove Luciano avrà modo di terminare gli studi universitari presso la facoltà di Legge all’università di Padova e Carmelita avrà modo di visitare la cosmopolita città di Venezia, allora 1° porto dell’impero austriaco (corrispondenza fra Carmelita e lo zio, il marchese Beccaria – A. Monti, “Quarantotto romantico ed eroico. Manara – Dandolo – Morosini).
Una volta tornati a Milano i due giovani si scontrarono con l’ostilità della famiglia Manara che non aveva ancora perdonato a Luciano la bravata e accusavano la famiglia Fè di aver plagiato il figlio.
Nonostante queste difficoltà la nuova famiglia sarà allietata dall’arrivo di tre figli: Filippo (nato nel 1844), Giuseppe (nato nel 1846) e infine Pio (nato nel febbraio del ’48) a cui verrà successivamente aggiunto il nome di Luciano.
Politicamente erano anni difficili, la parola ribellione incominciava a sorgere spontaneamente, erano molti i patrioti che cercavano di procurarsi armi e munizioni per un’eventuale rivolta.
Luciano Manara era fra questi coraggiosi patrioti, abbiamo traccia di un colloquio avvenuto nel ’47, fra lui e il conte Martini, suo cognato, in quanto aveva sposato la sorella Deidamia.
Luciano ebbe occasione di visitare una tenuta del conte e di visionare una raccolta di fucili da caccia; chiese al conte di fargliene dono, alla curiosa richiesta il Martini gli domandò che uso ne avrebbe fatto: Luciano rispose che era suo scopo utilizzare questi fucili per poter scacciare gli austriaci da Milano.
Il Martini che per la prima volta sentiva parlare in maniera così aperta di ribellione, si sentì in dovere di mettere in guardia il suo giovane amico; se le sue parole fossero state ascoltate da un delatore sarebbe corso incontro a molti pericoli.
Luciano conosceva i rischi a cui andava incontro, nondimeno sapeva che occorreva che ognuno facesse il proprio dovere, anche a costo della vita, infatti al Martini rispondeva: “Capisci bene che se v’è un mezzo di far miracoli – e per noi abbisognano miracoli – si è di chiudere gli occhi, correre innanzi, e, occorrendo, morire” (Pagani, “Uomini e cose in Milano dal marzo all’agosto 1848).
Il ’48 si apriva con altri motivi di tensione : molti patrioti incitavano i cittadini a disertare i teatri e a evitare l’acquisto di sigari e tabacchi per non sovvenzionare le casse del governo austriaco.
D’altro canto le truppe austriache aumentavano i loro contingenti in Italia, quasi a prevedere un inasprimento dei rapporti, nei loro comunicati gli ufficiali poi avvisavano i soldati di evitare anche i confessionali, quasi a sospettare tradimenti da parte delle persone più insospettabili.
In questo clima il 17 marzo arrivò in Milano la notizia riguardante i disordini scoppiati a Vienna, subito gli studenti si radunarono presso l’abitazione del professor Angelo Fava, il momento tanto desiderato era giunto.
Luciano Manara la mattina del 18 marzo, in compagnia di alcuni amici fra cui il Fava, si era recato alla chiesa di S.Bartolomeo, ad attenderli il padre barnabita Alessandro Piantoni che fece loro una breve predica sull’amor patrio.
Ora ci sono diversità di vedute fra gli storici, alcuni sostengono che la manifestazione dovesse essere pacifica, si voleva richiedere solo maggiori libertà, altri invece sostengono che l’obiettivo era un’insurrezione armata per scacciare gli austriaci.
Comunque sia quella mattina da tutte le vie di Milano confluirono molti cittadini diretti verso il palazzo del governo; poco prima di mezzogiorno l’insurrezione scoppiò.
Luciano durante le cinque giornate ebbe modo di dimostrare il suo carisma e il suo eroismo: queste sue innate doti lo faranno diventare comandante.
Durante la sommossa popolare il suo gruppo era comandato dall’Anfossi, esule nizzardo di trentasei anni che aveva combattuto in Siria, dopo la sua morte, durante l’assedio del palazzo del Genio Militare, Luciano assunse il comando.
Manara e i suoi uomini presero parte ai fatti d’armi più importanti: la presa del palazzo del comando militare sito in via Brera, combattè in via Borgonuovo, sui Navigli e in molte altre contrade.
Il fatto d’armi più eclatante fu senz’altro la presa di Porta Tosa, che divenne poi Porta Vittoria; in questo fatto d’armi si distinse proprio il Manara.
Questa la descrizione della giornata da parte di Dandolo (i volontari ed i bersaglieri lombardi): “Era bello il vederlo nell’ultimo dì a Porta Tosa, quando la mitraglia spazzava la via, le fucilate si succedevano non interrotte e ardevano le case vicino alla porta, scagliarsi dapprima solo, poi seguito da pochi con una bandiera tricolore alla mano, correre fra la grandine delle palle fino al casino che sta presso alla Porta, abbatterne l’entrata, irrompere co’ suoi, uccidere, fugare gli stupiti nemici e poi dar fuoco alla porta, da cui non tardarono ad entrare torme di contadini dalle insorte campagne.”.
Il forte contingente austriaco si trovò impreparato alla lotta che si accendeva casa per casa e fu costretto a ritirarsi.
Una volta scacciati gli austriaci Luciano comprese che la guerra non era ancora terminata; bisognava cercare di scacciare l’austriaco dalla Lombardia; a tal proposito concordò con il Governo provvisorio una strategia da seguire.
Scrisse al Direttorio che era fondamentale radunare uomini, armi e munizioni per scacciare gli austriaci, raccolse il nucleo primigenio della sua legione, uomini che l’avrebbero poi seguito in Piemonte e poi a Roma, con un esercito improvvisato di centoventinove soldati il 24 marzo uscì da Milano.
Faccio qui ora una breve considerazione, in questo momento sarebbe stato facile per Luciano Manara, uno dei combattenti più valorosi delle cinque giornate, “imboscarsi” in qualche ufficio.
Il conte Martini, suo cognato, era membro del governo provvisorio, era il tramite fra Milano e casa Savoia, Luciano in virtù delle sue amicizie e del valore conquistato sul campo avrebbe potuto tranquillamente adoperarsi per trovare un posto tranquillo in qualche ministero.
Non lo fece, sentiva che bisogna combattere per la libertà e che ognuno doveva fare la sua parte.
Seguirono mesi di alterne fortune e soprattutto di privazioni; Luciano conobbe la parte più amara della guerra.
Appena uscito da Milano la sua legione confluì a Treviglio; lì attese gli ordini.
Dopo pochi giorni venne brevettato generale di tutti i corpi volontari che sarebbero entrati in contatto con la sua legione.
In capo a pochi giorni si trovò a comandare circa millequattrocento uomini, un insieme eterogeneo di personaggi fra loro differenti, una vera e propria armata <Brancaleone>; uomini diversi fra loro per nascita, censo e istruzione.
La colonna divenne l’avanguardia dei regolari piemontesi, entrarono vittoriosi a Crema, a Brescia, a Rezzato, a Salò.
Successivamente si diressero verso Lazise, qui in località Castelnuovo era stata conquistata una polveriera, il maggiore Noaro era stato incaricato del trasporto delle casse di polvere da sparo e della vigilanza del territorio, senonchè le sentinelle al comando del Noaro si abbandonarono ad un inopportuno riposo.
Gli austriaci approfittarono di questa situazione; attaccarono il villaggio e compirono una vera e propria strage di soldati e civili, nel frattempo allertato dalla situazione il Manara provvide a fortificare Lazise e solo in un secondo momento si ritirò dal villaggio.
La situazione era grave, l’opinione pubblica risultò infatti molto scossa dall’eccidio Manara però non venne ritenuto responsabile dell’attacco, anzi fu lodato per la sua perizia nell’organizzare la resistenza.
Venne organizzata l’invasione del Tirolo meridionale, però la spedizione si concluse con un insuccesso; Manara dovette ripiegare.
Nel frattempo era giunta la sua nomina a maggiore dei volontari e la sua legione era stata riorganizzata sulla base di seicento uomini.
Il 13 maggio il governo provvisorio chiedeva ai volontari di pronunciarsi sull’annessione della Lombardia al Piemonte, inizialmente Manara e altri soldati erano contrariati.
Infatti non vedevano la necessità in quel particolare frangente di tale decisione, erano soldati e stavano ancora combattendo.
Fu solo l’intervento di Carmelita che indusse il Manara, che nel frattempo aveva unito la sua firma a quelle dei suoi volontari che erano contrari all’annessione, ad abbracciare la causa dei Savoia.
Dopo questi fatti la legione Manara venne destinata a nuovi scenari operativi.
Venne disposto lo spostamento di Manara ad Anfo e successivamente a MonteSuelo, sul Caffaro, una zona di confine nel bresciano.
In questa guerra di posizione dovette affrontare il nemico più insidioso, non il croato ma i rapporti con i suoi soldati.
Manara doveva infatti gestire dei volontari; uomini poco inclini alla disciplina e all’obbedienza e che mal si adattavano alla vita dell’accampamento.
Erano un esercito improvvisato ed eterogeneo, borghesi, nobili e operai, letterati e analfabeti, ricchi e poveri: uomini mossi da un nobile spirito patriottico che però non avevano alcuna preparazione militare.
La guerra di posizione logorò questi volontari che mal sopportano le consegne, il freddo, la fame, dopo i primi disagi molti di loro ritornarono a casa, dalle famiglie che avevano lasciato.
Come Manara scriverà più volte scorato nell’animo alla cara amica la contessa Fanny Bonacina Spini, avrebbe preferito comandare dei soldati che dei volontari.
Paradossalmente incominciò dalla cacciata da Milano la riorganizzazione delle truppe imperiali austriache, così per il contingente lombardo, rinforzato dai volontari accorsi da tutta Italia e dal regio esercito piemontese incominciò una mesta ritirata.
Gli austriaci, forti della loro disciplina e del loro armamento riuscirono a sbaragliare le truppe avversarie, passano così di vittoria in vittoria e rientrando nelle città che pochi mesi prima avevano abbandonato, molti furono i cittadini che fuggirono da Milano per paura delle ritorsioni.
Quelli che rimasero accolsero gli austriaci con le parole “sem sta mia nui, son sta i sciuri” (Monti, Milano Romantica).
Che cosa rimaneva ora al giovane ufficiale e ai suoi compagni? Solo una via, come scriverà alla cara amica, la contessa Fanny, si poteva solo aver fede e continuare a combattere.
Il Piemonte e Carlo Alberto gli permettevano di continuare a sperare in una Patria unita e libera dall’oppressione straniera.
E’ qui in Piemonte che Manara compì un’evoluzione della sua personalità, comprese che i corpi volontari potevano arricchire l’esercito regolare, ma non sostituirlo.
L’ufficiale dei corpi volontari divenne un ufficiale di corpi regolari, plasmò i volontari lombardi a sua immagine, la divisione lombarda che si formò in Piemonte all’indomani della ritirata dalla Lombardia comprendeva diversi battaglioni, il più disciplinato era il “battaglione Manara”.
Il compito che si proponeva era fondamentale per la costruzione di un esercito; adempierà a questo scopo con onore e disciplina, puntiglio e zelo; i recenti mesi di combattimento gli avevano fatto comprendere come fosse meglio avere un soldato affidabile e disciplinato, piuttosto che un volontario poco incline all’obbedienza.
Maturò in quei mesi anche una nuova coscienza politica, a maggio si trovò a dover scegliere fra la repubblica e l’annessione al Piemonte monarchico.
Seppur con qualche reticenza e dubbio, non capiva infatti perché si dovesse decidere questo proprio mentre ancora si stavano imbracciando le armi, decise di appoggiare la causa sabauda.
Non era amante della monarchia piemontese, ma Carmelita era la sua guida, nelle sue lettere gli descriveva la situazione che si viveva a Milano.
Troppi erano gli interessi in gioco perché i repubblicani potessero riuscire a contentare tutti, nel suo esilio piemontese poi i dubbi sui repubblicani aumenteranno.
Inizialmente dubitava di Garibaldi, lo considerava un avventato, un messo di Garibaldi lo aveva avvicinato appena arrivato in Piemonte e gli aveva prospettato di unirsi alle sue armate e portare la guerra all’austriaco.
Ma era deciso a servire casa Savoia, scrisse anche all’amica Fanny spiegando che non capiva il comportamento dei mazziniani, con il loro ostracismo non si avvedevano di servire la casata degli Asburgo.
In questi mesi Manara venne proposto come deputato per il parlamento piemontese nonostante la sua giovane impedisse la nomina; poi per una promozione a colonnello, rifiuterà questa promozione perché era forte in lui il desiderio di combattere in prima linea.
Nella campagna del ’49 purtroppo i modesti ufficiali piemontesi si dimostrarono troppo inesperti nei confronti dei più capaci ufficiali austriaci, sorsero incomprensioni, paure che portarono alla rovinosa disfatta dell’esercito piemontese; a La Cava Manara è costretto a causa della disparità di forze a dover far passare l’esercito austriaco che penetrerà così in territorio piemontese.
Alla fine l’esercito Sabaudo sarà sconfitto, Carlo Alberto dovrà arrendersi e abdicare.
Gli austriaci erano i vincitori e come tali dettarono i termini della resa; una delle prime condizioni che vennero poste fù lo scioglimento della divisione lombarda.
Che cosa sarebbe accaduto ai soldati lombardi? Molti di loro, prima delle Cinque giornate di Milano erano regolarmente inquadrati nell’esercito austriaco, con l’insurrezione si erano macchiati di alto tradimento.
A Manara e ad altri ufficiali venne ventilata la possibilità di un inquadramento nell’esercito sabaudo, ma agli altri soldati? Luciano non poteva abbandonare i suoi uomini a un triste destino, avevano creduto in lui, ripudiarli sarebbe stata una codardia, sarebbe stato rinnegare quello per cui aveva creduto e combattuto.
Vi erano poi ancora degli uomini che resistevano alla prevaricazione: Venezia, la Toscana e infine Roma.
Proprio Roma è la tappa scelta da Luciano e dai suoi soldati, due vapori, grazie alla complicità di La Marmora, con a bordo la divisione Manara (poco meno di 700 uomini) salpano da Genova.
Manara è però ancora indeciso sul da farsi, non è ancora pienamente convinto di voler combattere per la repubblica, lui stesso aveva più volte descritto Mazzini e i repubblicani come persone che con il loro operato agivano a favore dell’Austria indebolendo la causa italiana.
Luciano scriverà alla moglie per cercare di spiegare i motivi della sua scelta, lui ed i suoi uomini si trovavano a Roma per combattere il dispotismo, la prevaricazione; combattere per l’Italia.
La moglie e gli amici non comprendevano infatti questo suo apparente cambio di “rotta”; Luciano però semplicemente voleva servire l’Italia, con orgoglio mostrava la sua spada con l’effige di casa Savoia nella Roma repubblicana.
Anche su Garibaldi sembrò mutare atteggiamento e parere, conobbe direttamente l’uomo, un uomo semplice che accudiva lui stesso alla sua cavalcatura, non sembrava un ufficiale tanto era dimesso.
Ma quando suonava la tromba era il primo ad accorrere, il suo esempio e la sua dedizione alla causa erano un esempio per tutti i soldati, da quel momento Garibaldi divenne “la pantera”, un amico, un compagno da seguire.
Stima ricambiata, a Roma infatti vi sono almeno due episodi importanti da ricordare fra Garibaldi e Manara.
Nella prima Garibaldi scrisse a Manara, momentaneamente indisposto, suo comandante di stato maggiore, chiedendogli di curarsi e di non forzare i tempi di guarigione.
Nella seconda è Manara che raggiunse personalmente Garibaldi chiedendogli di non abbandonare Roma e di restare per combattere l’esercito; in quel momento Garibaldi aveva infatti avuto un forte scontro con i triumviri ed era risoluto ad abbandonare Roma e portare guerra al nemico al di fuori della città.
I Garibaldini, i romani ed i bersaglieri si batteranno con onore, contro i napoletani e principalmente contro i francesi; Luciano si distinse particolarmente era un maggiore, venne promosso tenente colonnello e poi colonnello, divenne anche capo di stato maggiore di Garibaldi, ma … alla fine tutto fù vano.
Dopo mesi di combattimenti arriva il 30 giugno, è il giorno della morte del colonnello Luciano Manara.
Durante la battaglia a Villa Spada venne colpito da una pallottola che lo costrinse a una penosa agonia; il suo corpo disteso sul letto di morte venne ritratto dal fido amico, pittore e bersagliere Eleuterio Pagliano, che lo aveva accompagnato fin dall’inizio dell’avventura milanese.
Qualche giorno dopo, il 3 luglio, la repubblica romana capitola.
BARZANO’
Così la scrittrice Aida Sentieri Cavazzani (Carmelita Manara nell’Italia eroica dell’unità) racconta il funerale di Luciano Manara : “Col Manara si chiude una grandiosa leggenda. … I funerali fatti a Roma il 2 luglio riuscirono modesti nella forma ma imponenti. Portato dai bersaglieri il feretro passò per le vie della città sotto una pioggia di fiori fra due ali di popolo silenzioso e commosso sino alla chiesa di S.Lorenzo in Lucina. Si racconta che dopo una lunga marcia funebre il Capo della Legione Lombarda, collocato su palme verdi nella gran sala del Campidoglio, dove si ergono le statue degli Dei e degli Eroi, abbia avuto l’addio del Mazzini”.
L’esecutore testamentario delle ultime volontà del Manara fu il Dandolo, Manara aveva chiesto di essere seppellito assieme al di lui fratello in Lombardia, pensando di far cosa gradita, si risolse di organizzare anche il trasporto del terzo amico miseramente caduto a Roma; il Morosini.
Le casse con le salme dei tre prodi bersaglieri erano arrivate a Genova il 4 settembre, da lì proseguirono per Vezia, Svizzera, qui i tre amici vennero tumulati nella cappella privata della famiglia Morosini, nel frattempo era però arrivato anche il permesso di trasferire la salma di Luciano Manara in Lombardia.
Desiderio di Carmelita era che il suo adorato sposo potesse riposare con le salme dei suoi fratelli d’arme nella quiete della pacifica Svizzera, era certa che la salma del marito sarebbe stata rispettata ed onorata.
Desiderio dei suoi suoceri era però riavere il corpo del proprio figlio, a tal proposito avevano già richiesto autorizzazione alle autorità militari austriache e a quelle civili del Canton Ticino per il rientro della salma in Lombardia.
Carmelita non riusciva ad accettare questa situazione, temeva che il corpo di Luciano potesse essere sottoposto agli scherni della marmaglia tedesca, che avrebbe anche potuto infierire sui quei poveri resti.
Aveva sofferto in vita, era doveroso che almeno nella morte potesse essere rispettato, i suoi pensieri vennero chiaramente espressi in una lettera che scrisse al Dandolo, che considerava quasi un fratello: “Non vi so dire, quale sia il mio dispiacere di vedere quel mio caro diviso dall’Enrico e dall’Emilio e messo qui dove la sua salma può essere insultata dai Tedeschi” (Aida Sentieri Cavazzani, Carmelita Manara nell’Italia eroica dell’unità).
Ma non poteva ribellarsi ai suoceri, Luciano innanzitutto era il loro figliolo, dovette così serenamente accettare questa ed altre risoluzioni.
I suoceri temevano infatti interventi da parte delle autorità austriache, erano pur sempre i genitori di un ribelle, forse temevano anche per i loro figli ancora vivi e soprattutto per i loro nipoti, non volevano che a causa del padre i tre piccoli bambini avessero a soffrire angherie e prepotenze.
Anche gli ultimi ricordi di Luciano erano considerati come delle pericolose icone, essi temevano forse che potessero diventare dei simboli per una nuova sollevazione o forse più semplicemente agognavano ad una tranquilla vecchiaia.
Avevano già visto morire Luciano in battaglia e la figlia Deidamia per malattia ed erano probabilmente provati dalle avversità della vita.
In quest’ottica penso si possa comprendere come i suoceri avessero “ordinato” di distruggere i “ricordi” di Luciano, consegnati dal suo attendente: vari incartamenti e l’asta della bandiera.
La cassa contenente la salma, che per inciso recava la scritta “oggetti di storia naturale”, venne discretamente trasportata verso la fine di settembre dal confine svizzero di Chiasso fino a Sesto Ulteriano, presso Melegnano, dove si trovavano i suoi genitori.
Dopo la sua morte poco sappiamo, i suoi figli e la moglie non gli sopravvissero molto, lo stesso “fratello d’armi”, Emilio Dandolo fu presto rapito alla vita, non riuscì nemmeno a godere della visione della Patria finalmente unificata e libera dall’austriaco.
La salma dell’eroe trovò definitiva sistemazione nel 1867, ho ritrovato infatti un foglio negli archivi comunali di Barzanò, in data 30 aprile 1867 il sotto sotto prefetto da Lecco avvisava che era stata disposta la traslazione della salma di Luciano Manara, con osservanza di tutte le dovute cautele sanitarie, nella tomba di famiglia di Barzanò.
Contemporaneamente venivano date alle stampe diversi libri dove si raccontavano la vita, le gesta di Luciano Manara, il coraggioso bersagliere che combatteva per l’indipendenza.
Erano questi anni particolari, era forte la necessità di creare un’unità nazionale, occorreva dare dei punti di riferimento, Garibaldi , Mazzini, Cavour: Manara.
Il suo eroismo, il suo coraggio e la sua lealtà ne faranno un’icona romantica: un giovane di ventiquattro anni che lotta e che morivano per l’indipendenza della sua terra.
Dandolo, sfortunato protagonista della campagna del ’48 e del ’49, legato a Manara da una forte amicizia descriverà le gesta del corpo dei bersaglieri lombardi.
Ma anche Aida Cavazzani scriverà un libro molto romantico incentrato sulla figura di Carmelita e di Luciano; poi la contessa Bonacina Spini farà pubblicare le lettere che Luciano le scriveva dal fronte.
Lettere mediante le quali possiamo apprezzare non solo il soldato ma anche il giovane di venti anni che lotta per un ideale; un giovane che nelle sue lettere descrive fatti d’arme e viste di paesaggi di campagna.
Sempre analizzando gli incartamenti del Comune di Barzanò ho potuto appurare che in Brianza si creò un piccolo fenomeno di periodica rivisitazione della figura di Luciano Manara.
Fra le carte conservate vi sono diversi manifesti che inneggiavano all’eroe delle cinque giornate e che invitavano i cittadini italiani e i reduci a Barzanò per la commemorazione dell’anniversario della sua morte.
Uno dei manifesti più vecchi che ho potuto visionare reca la data del 1879, presumo comunque che già poco tempo dopo l’unificazione la figura del Manara avesse già incominciato a attirare personaggi di varia estrazione sociale.
Semplici cittadini, curiosi, reduci delle guerre del risorgimento, uomini che avevano combattuto per l’unificazione, oppure più semplicemente che avevano avuto parenti o amici che si erano impegnati nella lotta per scacciare i tedeschi.
In questo manifesto, ancora scritto a mano, vi sono delle parti prestampate recanti la dicitura ‘Provincia di Como’ e ‘Circondario di Lecco’, il sindaco chiamava a raccolta tutti i cittadini per la commemorazione dell’eroe morto a Roma nel 1849.
Dopo l’unità passavano gli anni, ai giovani ventenni del ’48 subentravano nuove generazioni si arrivava nel 1885 alla celebrazione del 36° anniversario.
Contemporaneamente in Milano nel 1887 veniva fondata la “Società di mutuo soccorso fra i bersaglieri in congedo”, che prenderà più tardi la denominazione “Luciano Manara”.
Sempre il comune di Barzanò provvedeva nel 1909, a ricordo del sessantesimo anniversario della morte di Luciano Manara, a coniare una medaglia commemorativa d’argento.
Arriviamo ad un’altra ricorrenza, nel 1912 la Società Democratica volle rendere un omaggio alla figura del prode bersagliere preparando una relazione di 15 pagine in cui viene tratteggiata la figura del Manara.
Dagli incartamenti comunali apprendiamo che nel ’35 l’amministrazione comunale, entrò in possesso del terreno su cui sorgeva la tomba di Luciano Manara.
Incominciarono dopo pochi giorni i preparativi per la ristrutturazione della tomba, quello stesso anno, Benito Mussolini partecipò alle spese donando Lire 5.000.
Altre persone e istituzioni doneranno spontaneamente dei soldi al fine di poter ristrutturare la tomba di Manara.
Siamo nel 1936, viene celebrato il 100° di fondazione del corpo dei bersaglieri, questa è anche la data in cui si “inaugura” la ristrutturazione della tomba di Luciano Manara.
Era un avvenimento importante, siamo in pieno periodo fascista e Mussolini voleva creare il culto dell’eroe, tutto doveva servire per valorizzare le virtù del popolo italiano.
E’ di questo periodo l’ultimo libro che narra le gesta di Manara; è stato pubblicato nel 1939, l’autore è il generale Rodolfo Ragioni, morirà poco prima di veder pubblicato il libro.
Qualche anno dopo (1942), in piena II Guerra Mondiale, veniva pubblicato sul “Giornalino” una storia a fumetti dove veniva ricordata la figura del bersagliere Luciano Manara.
Nel 1949 si celebrò il centenario della morte di Luciano Manara, l’allora sindaco di Barzanò organizzò i festeggiamenti, che avevano forse il compito di celebrare non solo un eroe italiano, ma anche ridare speranza ad un popolo smarrito, sfiduciato, abbruttito dalla guerra e soprattutto dalla sconfitta.
Bisognava dare agli italiani e all’Italia la speranza di una nuova rinascita; bisognava imboccare la strada della ricostruzione.
Narrazione bellissima,GRAZIE di vero cuore per aver ricordato alle nostre vite che i valori non devono trovare tramonto
Una persona eccezionale , di grande cuore, di inestimabile morale e integerrimo.Della sua famiglia, altrettanto importante ,dopo la sua morte chi si è preso cura?Mi sembra che fosse doveroso